Regia: David Fincher
Anno: 1995
Titolo originale: Seven
Voto: 9/10
Pagina di IMDB (8.7)
Pagina di I Check Movies
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David Fincher siede alla tavola dei miei registi preferiti. Non che
questa tavola abbia pochi posti, ma neanche troppi. E quando parliamo
spesso mi chiede quale, secondo me, sia il suo film più importante. Gli
faccio notare che, nonostante
i suoi successi siano sotto gli occhi di chiunque non è poi così
semplice per me rispondere. Il ballottaggio è, e gli strizzo l’occhio,
tra Fight Club e Seven. Facile no? Niente affatto, invece. Però poi in
uno slancio, gli dico che preferisco quello con Brad
Pitt... Ah già, scusami, intendo il primo, quello del 1995 che forse
rappresenta il momento migliore per essere lanciati nell’orbita delle
stelle. E’ meno maturo, ma è davvero bello. Nella fotografia, nella
tecnica, nella luci, nella sceneggiatura da perfetto
thriller che è stata messa scuro su bianco. Prima di Seven ci fu solo
il terzo Alien, ma è proprio con lo spietato giallo a tratti noir che
vede insieme Morgan Freeman, Kevin Spacey ed il già citato Brad Pitt e che
si delinea una sua forma vera e propria. E
forse sì, è veramente il più rappresentativo, e quello che colpisce il
pubblico fin dalle prime scene, crude che fanno iniziare una corsa
contro il tempo e contro il male. La suspense va di pari passo con la
presentazione dei personaggi: dal saggio e navigato
tenente che tra neanche una settimana appenderà il distintivo al chiodo,
al novellino spaccone ed intraprendente che si impegna per risolvere i
casi difficili, l’impassibile serial killer (lo vedremo in volto solo
dopo novanta minuti di pellicola) guidato da
una fede malata, la moglie (Gwineth Paltrow) amorevole ancora di salvezza per il
marito. Tutti loro, coralmente si prestano con grande dovizia alla
creazione del giusto pathos, quello da (in)seguire fino alla fine, che
risulterà violenta, ti lascerà con l’amaro in bocca,
sarai spossato ed ti arrenderai, ma soprattutto riuscirai ad
immedesimarti e capire i sette peccati capitali: superbia, avarizia,
lussuria, invidia, gola, ira ed accidia. Ma basta con la trama, non
perchè non voglia sciuparvela, ma perchè è il modo sensazionale
con cui la si racconta che fa la differenza. E’ la fotografia schietta e
disinvolta che ci mostra gli ambienti dell’oblio, la pioggia stanca che
cade giù, il sangue sprecato delle vittime. E’ l’interpretazione
coinvolgente di uno sguardo che esprime rabbia
e paura. E’ una musica entrante, che anticipa le mosse ed i momenti più
bui. Tutto questo fa di Seven uno dei migliori film degli anni novanta,
ma non solo. E’ un mix di azione, arte investigativa, introspezione e
buona psicologia che ci presenta l’animo umano
poliziesco. Tutti sono uomini, chi in un modo chi nell’altro, tutti
hanno le proprie debolezze e paure. E’ in gran parte su questo che si fa
leva. Così come sui contrasti, sempre ben evidenziati dalla fotografia
che risalta luci ed ombre oppure dalla scenografia
che mette uno di fianco a l’altro i due tenenti, o di tipo morale in
cui la religione viene usata come strumento di morte da parte di un
invasato, ed ancora il contrasto tra giustizia e vendetta che aleggia
nell’aria per arrivare ad una conclusione sorprendentemente
forte e pesante. Finale che a sua volta ci mostra un ulteriore
dualismo, questa volta scenico: se tutto il film ha avuto come location
un’opprimente Los Angeles, i cui appartamenti e locali sono soffocanti,
al limite del claustrofobico, ecco lo spazio aperto
del deserto, il nulla ad arginarlo, se non un cielo libero di
giudicare, ma non di vegliare sui protagonisti. "Hemingway una volta ha scritto: Il mondo è un bel posto, e vale la pena lottare per esso. Condivido la seconda parte" [cit.]
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