Potete toccarmi, o stringermi la mano o anche darmi una medaglia. Insomma fate voi. Quella di oggi è stato la mia impresa escursionistica più epica di sempre. Ho accoppiato la terza e la quarta tappa della via degli dei, ho raggiunto i 40 km senza deviazioni, e lo ho fatto nella giornata più piovosa della mia vita. Può sembrare un'esagerazione, ma le tre bordate d'acqua che vi posso raccontare non hanno eguali. La cattiveria con cui il tempo si accaniva sul sentiero era disumana. Ho anche pensato ad un segno. Visto quando si dice che le cose accadono per una ragione superiore? Ecco, mentre mi scrosciava l'acqua addosso ci ho pensato, ma non c'era alcun motivo: non avrei potuto né fermarmi né tornare indietro. L'unica strada era davanti a me. Con o senza intemperie. E sono fiero ed orgoglioso di quanto ho fatto. Ho anche trovato il mio limite: non lo rifarei. Neanche per soldi. Ma non mi sarei mai perdonato se non lo avessi fatto. Partiamo dall'inizio. Oggi la partenza è alle 6.45, con tanta nebbia, ma zero pioggia. Sono talmente gasato che sbaglio cartello e torno verso Bologna per due o trecento metri. Il vantaggio di svegliarsi presto si annulla. Ma chi se ne frega, sono carico e vado per la giusta via. Direzione passo della Futa, quella che è la tappa più breve del tragitto. Ero tutto belo positivo mentre salivo perché la nebbia ha quel dono di tranquillizzarmi, e celare il resto, nubi comprese. La pioggia inizierà circa un'ora dopo, per smettere soltanto alle 15.00. Passo comunque il confine Tosco Emiliano e mi adentro nei boschi, ammiro la Flaminia militare riscoperta grazie al ritrovamento di un'antica moneta, passo faggete, vedo un cervo (o animale simile) che mi attraversa la strada, incontro 4 viandanti che come me hanno intenzione di arrivare a San Piero a Sieve. Mentre supero la vetta delle Banditacce (1200 metri, il punto più alto della Via) e mi avvicino al passo della Futa inizia la prima bussata memorabile. Mi accompagna fino al cimitero militare gernanico. Perdo un po' di tempo trovando un bar (l'unico? Non ho visibilità oltre i 2 metri) chiuso e non capendo dove proseguire con la quarta tappa. Fortunatamente smette di piovere così trovo il giusto sentiero. Da qui in poi è apoteosi. Fango, rivoli d'acqua, scrosci... Mi muovo a fatica e non fa differenza che salga o scenda. Lo 00 del crinale inizio ad odiarlo, il 50A che va verso l'osteria Bruciata diventa invece il mio incubo. Discesa ardite in cui il sentiero è un fiume di fango. Una volta cado (caduta vera, di culo: da segnare) e con le mani melmose decido di lasciare il telefono nella custodia per un bel po'. In stile Maschio Alpha mi pulisco con la pioggia e dentro ad una pozza per poi riprendere un cammino che ha il sapore di via crucis. Sono però felice di continuare, perché credo che le difficoltà siano finite. Sempre sul 50 però ci sono delle zone inagibili: l'acqua scorre sulle rocce e cade copiosa. Che faccio? Come scendo? Non posso certo aspettare che smetta o ci faccio notte. Mi arrangio tipo granchio (una volta arrivato in albergo mi accorgo che ho bagnato lo zaino) e arrivo in fondo. Da qui in poi i pericoli sono terminati, ma non non l'acqua, le discese ripide ed il fango appiccicoso. Verso le 15.00 spuntano alcuni timidi raggi di sole tra le fronde: mi danno una carica incredibile ed anche se ho ancora diversi km da fare, mi sprono ad andare avanti. Uscito dal bosco trovo un omino indigeno che mi attacca bottone e vuol sapere il nio tragitto. Gli luccicano gli occhi (mi vorrebbe toccare) e mi dice che mancano esattamente 8 km a San Piero a Sieve. Perfetto, per me è come se fossi arrivato. Ma sti otto km (che erano otto per davvero) non finiscono più. O meglio, finiscono quando anche le mie forze iniziano ad abbandonarmi e raggiungo l'albergo.
Album fotografico Via degli dei #3
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