Terminata
la rinfrescante uscita all'orrido di Ponte Alto, il pomeriggio offre
spunti decisamente più storici e culturali; infatti decidiamo, dopo un
bel pranzo dal paninaro lungo la strada, di visitare l'affascinante castello di Stenico con le sue collezioni.
Arroccato
sul dosso che domina l’abitato di Stenico, il castello conserva ancora
il suo aspetto imponente e massiccio di edificio fortificato. Al suo
interno, l’eleganza degli ambienti e la raffinatezza di affreschi e
sculture rivelano la destinazione a residenza estiva del principe
vescovo di Trento.
La
natura delle collezioni esposte a Castel Stenico riguarda
prevalentemente oggetti legati all’arte applicata. ll maniero ospita
nelle sale dipinti e oggetti di arti applicate provenienti dalle
collezioni provinciali: una significativa testimonianza di creatività e
perizia degli artisti e artigiani che lavorarono nel territorio trentino
nel corso dei secoli.
Nella sala del Giudizio è presenta una collezione di campane dismesse dalle chiese del territorio:
Vasto
e severo, illuminato solo attraverso una serie di feritoie, l’ambiente
al pianterreno del Palazzo Nuovo era forse destinato all’amministrazione
della giustizia del territorio, affidata al Capitano delle Giudicarie,
il funzionario vescovile cui spettava anche il controllo militare e
l’amministrazione economica della zona giudicariese. Sul fondo della
sala un gradone sopraelevato poggiante direttamente sulla roccia,
secondo la tradizione, ospitava i giudici.
Madonna
con Bambino fra i Santi Lorenzo e Silvestro (tavola centrale) -
Costantino imperatore e Silvestro papa (predella) di Jacopo Ligozzi, qui
conservato per tutela.
Il
castello è molto grande e si snoda in varie strutture collegate tra di
loro a seconda del periodo storico in cui sono state aggiunte o
modificate, quali Palazzo Vecchio e Palazzo Nuovo o casa vecchia e
Palazzo Hinderbach fino alla torre di Bozone o alla splendida e
affrescata cappella di San Martino.
Qui
p possibile notare la loggia rinascimentale che collega il Palazzo
Vecchio e quello Nuovo, in sostituzione di un camminamento di ronda e di
una torretta, l’elegante e ariosa loggia rinascimentale contribuisce a
infondere al castello l’aspetto di un’elegante residenza; lo stemma del
principe vescovo Bernardo Cles, recante la data 1538, è scolpito sulla
volta.
Come
detto, innumerevoli sono gli ambienti che possiamo attraversare e che
danno un'impronta caratteristica agli stessi; qui si respira lo scorrere
del tempo. Troviamo varie sale, come quella dei Putti, o la cucina, o
la sala dei medaglioni o del camino nero. Insomma, uno spaccato del
tempo che fu, un periodo di grande ricchezza per i titolari del maniero e
che gli arredi rimasti tutt'ora ci mostrano.
Al
primo piano del palazzo hinderbachiano, l’elegante sala è decorata da
un fregio pittorico – piena espressione della cultura rinascimentale –
affrescato nella prima metà del Cinquecento con putti festanti, reggenti
vessilli e cornucopie, e intercalati da vecchi sileni. Un curioso
lampadario di tradizione tirolese, con una scultura montata su corna di
cervo, completa l’arredo.
La denominazione della sala – ricavata nell’ampliamento all’ultimo piano dell’antica Casa Murata –
deriva dal fregio pittorico eseguito durante gli interventi
cinquecenteschi voluti dal principe vescovo Bernardo Cles:
personificazioni di Virtù e Arti liberali si affacciano attraverso oculi
aperti in finte lastre marmoree, ornate da rami pendenti con foglie e
frutti.
Un
imponente camino in pregevole pietra nera di Ragoli caratterizza
l’ampio salone all’ultimo piano del Palazzo Hinderbach. Le pareti sono
decorate da un fregio pittorico commissionato nel Cinquecento dal
vescovo Bernardo Cles: finti drappeggi ornati a grottesche e recanti le
imprese clesiane si scostano per mostrare vivaci scene di battaglia.
Dalle finestre si gode un vasto panorama sulla conca del Bleggio.
Nella Torre di Bozone, detta anche ’della Fame’ – probabilmente
il mastio del castello, costruito in uno dei punti più elevati del
dosso e inglobato in edifici successivi – è ricavata una prigione, buia e
priva di aperture, il cui accesso è garantito da una botola nel
soffitto. Un’ulteriore prigione si trova in prossimità, come pure una
cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.
Infine
la cappella di San Martino realizzata su preesistenze altomedioevali
databili all’VIII secolo, come testimoniano i resti di arredi lapidei,
esposti in uno spazio vicino. Si tratta di due plutei (lastre di un
recinto) e un frammento di arco, finemente scolpiti con motivi
geometrici e vegetali, caratteristici dell’epoca.
Il
sorprendente ciclo pittorico, dipinto agli inizi del Duecento e
rinvenuto negli ultimi decenni del secolo scorso, è un significativo
quanto raro esempio dell’arte romanica nella regione. Figure di santi,
tratteggiati con un gusto popolareggiante, completano scene della vita
di Gesù, sintesi dell’annuncio di salvezza, e una scena apocalittica.
Il
momento artistico-storico è terminato e così ci attende il ritorno a
Folgaria verso il ristornate del Forte Cherle, suggerito vivamente dal
nostro nuovo amico Serafino. Stenico
però vuole mostrare ancora qualcosa di sé; è la cascata del Rio Bianco,
presso le falde delle Dolomiti del Brenta, proprio vicinissimo
all'abitato.
Nonostante
la distanza e il tempo trascorso tra natura e arte una piccola "chicca"
ci fa sostare per l'ultima volta; nel tragitto finale infatti
incontriamo il parco Lusan presso il comune di Vallelaghi.
Questi è un parco d’arte contemporanea tematico immerso nella natura
della Valle dei Laghi. Si pone l’obiettivo di fare conoscere i
principali siti di interesse a carattere storico, culturale e
naturalistico presenti nel territorio comunale di Vallelaghi, mediante installazioni artistiche realizzate con differenti materiali da artisti accuratamente selezionati, supportate da specifiche tabelle illustrative.
Le diverse opere d’arte, come delle riflessioni “d’autore”,
diventano una sorta di storia. Vogliono essere un invito a scoprire e
conoscere più a fondo il territorio della Valle dei Laghi con le sue
preziose peculiarità, la cui morfologia è stata disegnata dal grande Ghiacciaio dell’Adige durante l’ultimo periodo glaciale.
Le pecore curiose di Marco Baj
L’opera è dedicata ai massi erratici presenti
in zona, nello specifico al “Sass Gris”. Le pecore, osservando il masso
dinnanzi a loro, ripercorrono il suo percorso. Fantasticando “infinite”
storie concentrano tutta l’attenzione su di esso. Si apre in questo
modo un dialogo “invisibile” che porta il visitatore ad avere diversi
pensieri, finalizzati a porsi delle domande e a riflettere sulla natura e
sulla provenienza del masso stesso.
Lassù di Paolo Moro
L’opera è dedicata alla Paganella.
L’opera, stilizzata, rappresenta con eleganza e leggerezza l’altezza
delle montagne, la loro verticalità ed il senso si libertà che si prova
quando si è sulla vetta. Allo stesso tempo rappresenta l’infinita
bellezza che è possibile scorgere quando si è sopra di loro, come
sospesi, intenti nel percorrere una via attrezzata o un ponte tibetano,
secondo un senso di equilibrio che rimanda al nostro rapporto con il
mondo della natura.
Energia di Mario Piral
L’opera è dedicata alla centrale idroelettrica di Santa Massenza.
L’opera, avente le sembianze di una moderna turbina, rappresenta la
forza motrice dell’acqua, una forza dinamica rotante governata da una
musa immaginaria. L’acqua, per via della sua natura, può memorizzare e
assorbire diverse forme di energia presenti sulla terra; è in grado di
dissetare i corpi dell’uomo, lavare, purificare, fecondare i campi e
guarire le ferite dell’anima. Per questi motivi è stata spesso venerata e
in numerose culture e mitologie antiche si hanno notizie di divinità ad
essa legata.
1980 i "Pisetta" di Giovanni Bailoni
L’opera è dedicata alla via ferrata Pisetta.
L’opera, attraverso materiali che raccontano di passato e di presente,
rappresenta i due fratelli Pisetta che, nel 1980, decisero di aprire una
via attrezzata sul Piccolo Dain. Uno indica verso l’alto immaginando
l’ardita via, l’altro osserva e… già la vede.
Origine glaciale di Federico Seppi
L’opera è dedicata ai pozzi glaciali di Vezzano.
L’opera rappresenta l’azione lenta e incessante della natura, che
imprime con forza le proprie energie sulla materia e ha saputo lasciare
chiari segnali in ricordo delle ere geologiche passate. Il masso
porfirico è diviso in due, la parte più grande, leggermente inclinata,
con la superficie scolpita, vuole rappresentare il movimento del
ghiacciaio; l’altra, più piccola, mostrala conseguente azione erosiva e
ricorda le forme dei pozzi glaciali.
Riflessi nell'acqua di Ionel Alexandrescu
L’opera è dedicata ai laghi presenti in zona (Lago
Santo, Lago di Lamar, Lago di Terlago, Lago di Santa Massenza).
L’opera, alleggerita dal peso della materia, richiama le acque
cristalline dei laghi presenti in zona, con la possibilità di
rispecchiarsi al loro interno. La scultura, composta da giochi di volume
principalmente orizzontali, in un contrasto armonioso tra pieni e
vuoti, è fuori dall’anatomia artistica più classica; tutto il corpo
della figura umana si sta muovendo nell’energia dell’acqua che
rappresenta la vita.
Abisso "percorso interiore" di Paolo Vivian
L’opera è dedicata all’Abisso di Lamar.
L’opera porta alla luce quanto è fruibile solo ad esperti speleologi,
dando forma artistica ad un elemento naturale. L’elemento in acciaio
inox posto alla sommità rappresenta un cristallo di ghiaccio, ovvero
l’acqua da cui le “spaccature” naturali hanno avuto origine. L’abisso
scavato nella roccia diventa anche uno specchio del nostro essere
interiore più profondo e vero, del nostro codice dell’anima, come scrive
James Hillman, della nostra natura che, attraverso l’istinto puro, ci
guida nella realizzazione di noi stessi. Il taglio verticale che lo
percorre, anche con violenza, è il condizionamento che con l’educazione,
ma ancora di più con le imposizioni autoritarie che possono essere
date, snatura il nostro essere creando false espressioni di noi stessi.
Spirito del Bondone di Matteo Cecchinato
L’opera è dedicata al Monte Bondone.
L’opera rappresenta una creatura stilizzata le cui forme simboleggiano
diversi aspetti del gruppo montuoso da cui prende il nome. Le tre
“teste” riproducono le tre cime del Bondone, mentre gli intrecci
complessi e la struttura sono state ispirate dai numerosi sentieri
presenti, dalle rocce e dalle pareti scoscese. Ogni montagna porta con
sé una moltitudine di storie e di leggende, quasi fosse un nume
tutelare, un essere che può essere pacifico e svettare guardando verso
il cielo o incombere sulla vita degli uomini che gli sono ai piedi.
Il sabato è davvero finito ora.