La storia parte da un’idea semplice ma terrificante. Nel futuro, la Terra è diventata sempre più inospitale, e le persone cercano rifugio su Marte grazie a enormi navi spaziali di lusso. L’Aniara è una di queste, progettata per un viaggio breve e confortevole. Tuttavia, un incidente imprevisto devia l’astronave dalla rotta, rendendo impossibile correggere la traiettoria. I passeggeri e l’equipaggio si trovano così alla deriva nello spazio profondo, senza alcuna speranza di ritorno.
Il film segue la protagonista, MR, responsabile della Mima, una sofisticata intelligenza artificiale capace di ricreare esperienze virtuali basate sui ricordi degli utenti. Inizialmente, la Mima aiuta a mantenere la calma tra i passeggeri, ma con il passare del tempo la situazione a bordo peggiora. L’umanità mostra il suo lato più oscuro: si passa dal panico alla rassegnazione, dalla ricerca del piacere sfrenato alla formazione di nuove religioni e sette, mentre la nave diventa una sorta di società distorta, prigioniera della propria condizione.
Ciò che colpisce di Aniara è il suo approccio realistico e minimale. Non ci sono spettacolari battaglie spaziali o alieni misteriosi, solo l’infinita solitudine del cosmo. La regia è essenziale, con ambienti che inizialmente sembrano quelli di un hotel moderno ma che, a poco a poco, si trasformano in spazi soffocanti e alienanti. La fotografia gioca con luci fredde e spazi impersonali, enfatizzando il senso di smarrimento e impotenza.
Emelie Garbers, che interpreta MR, regala una performance intensa e credibile. Il suo personaggio cerca disperatamente di trovare un senso alla vita a bordo, mentre tutto attorno a lei si sgretola. Il film è anche una riflessione sulla tecnologia: la Mima, creata per offrire conforto, finisce per collassare sotto il peso della disperazione umana, come se neanche la realtà virtuale potesse più offrire una via di fuga.
Non è un film per tutti. Il ritmo è lento, la narrazione procede con una cadenza quasi ipnotica e non c’è mai un vero momento di speranza. L’angoscia cresce scena dopo scena, fino a un finale che non offre soluzioni, ma solo la consapevolezza dell’insignificanza dell’essere umano di fronte all’universo. Chi cerca azione e intrattenimento potrebbe trovarlo frustrante, ma chi ama la fantascienza filosofica, quella di Tarkovskij o Kubrick, troverà in Aniara un’esperienza affascinante e inquietante, capace di lasciare il segno.
Riporto un passo davvero commovente che durante la visione potrebbe andare perso o non essere ascoltato con la dovuta attenzione:
«La mia coscienza soffre per tutte quelle povere persone. Le ho sentite gridare. Le loro urla sono come pietre, come un granito incandescente di lacrime amare. Le loro sofferenze mi hanno profondamente turbata. In nome delle cose, io voglio la pace. Porrò fine alla creazione delle visioni. Ci si può proteggere da molteplici calamità, dal fuoco, dalla tempesta, dal gelo... ma non c'è protezione dalla razza umana. Non serve a nulla prolungare l'agonia dell'esplosione quando il terrore irrompe e l'orrore penetra in profondità nel sistema. Quanto è triste la propria auto-detonazione...»
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