domenica 30 marzo 2025

La Cosa Da Un Altro Mondo (1951)

Image of 1951 theatrical poster
Regia: Christian Nyby, Howard Hawks
Anno: 1951
Titolo originale: The Thing From Another World
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (7.1)
Pagina di I Check Movies
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Film:

Quando si parla di "La Cosa", il capolavoro di John Carpenter del 1982 viene spesso considerato il punto di riferimento assoluto. Tuttavia, il film di Carpenter ha un predecessore predecessore del 1951, La Cosa dell'altro mondo (The Thing from Another World), diretto da Christian Nyby sotto la supervisione del grande Howard Hawks (regista non accreditato)

Basato sul racconto Who Goes There? di John W. Campbell, questo film rappresenta la prima trasposizione cinematografica dell'idea di un'entità aliena ostile confinata in un avamposto isolato. Pur essendo lontano dalle atmosfere paranoiche e viscerali della versione di Carpenter, mantiene comunque un valore storico e cinematografico significativo. Si tratta quindi di un horror fantascientifico dal taglio classico

Il film segue un gruppo di scienziati e militari in una base artica che scoprono e riportano in vita una creatura aliena imprigionata nel ghiaccio. A differenza della versione di Carpenter, qui la minaccia è più concreta e meno subdola: il mostro è una creatura umanoide che si muove e attacca come un predatore implacabile. Non c'è il concetto di assimilazione o imitazione, ma piuttosto uno scontro diretto tra uomini e alieno con una struttura di tipo vegetale, ma comunque dalle sembianze umanoidi.

Uno degli elementi più interessanti del film è il ritmo incalzante dei dialoghi, tipico dello stile di Hawks, che dona realismo e dinamismo alle interazioni tra i personaggi, anche se a distanza di oltre settanta anni possano questi sembrare davvero vetusti. Anche se le tensioni tra scienza e militarismo sono presenti, il film si schiera decisamente dalla parte dell'azione e della risoluzione pragmatica del problema, a differenza del più ambiguo e angosciante approccio carpenteriano.

Dal punto di vista visivo, il film è figlio della sua epoca: gli effetti speciali sono rudimentali e la creatura, pur inquietante nel suo design, non riesce a trasmettere lo stesso senso di terrore e mistero della versione di Carpenter. Inoltre, il tema dell’invasione aliena riflette il clima della Guerra Fredda e la paura dell’ignoto, più che un vero e proprio horror psicologico.

Se confrontato con la pellicola del 1982, La Cosa dell'altro mondo risulta meno incisivo e meno spaventoso, ma rimane comunque un pezzo importante della storia del cinema di fantascienza. La sua importanza non si misura solo con gli standard attuali, ma con la sua influenza sul genere e sulla sua capacità di introdurre un concetto destinato a essere sviluppato con maggiore profondità e inquietudine nel futuro.

Pur preferendo il film di Carpenter, riconosco il merito di La Cosa dell'altro mondo come una delle prime pellicole a portare sullo schermo la paura dell’ignoto extraterrestre. È un film che va visto con la giusta contestualizzazione storica e che, nonostante i suoi limiti, rimane un classico della fantascienza anni ’50. Se si vuole comprendere l’evoluzione dell’horror e della sci-fi, è una visione obbligata.

Edizione: doppio DVD
Edizione a cofanetto con slipcover in cartoncino, purtroppo un solo artwork ripetuto anche sulla custodia, che contiene oltre che a due dischi DVD anche una cartolina rigida con la locandina originale. Nel primo disco abbiamo la versione con colori (lavoro non perfetto vista l'età, ma godibile) mentre nel secondo quella originale in bianco e nero con formato originale. In entrambe le versioni la traccia audio italiana è in stereo e gli extra sono i medesimi:
  • Trailer
  • Galleria fotografica
  • 2 schede testuali

sabato 29 marzo 2025

Prossime gite On The Road con Carado cv590

 

Viaggi Epici attraverso l'Europa (e più in là)

Io e il mio amico Gettons, socio di maggioranza in questa avventura economica, ci prepariamo a esplorare il MONDO a bordo del nostro Carado CV590 4x4. Come veri avventurieri, attraverseremo paesaggi mozzafiato, affronteremo strade sconosciute e scopriremo angoli nascosti del continente, spingendoci oltre i confini del viaggio convenzionale. La libertà di un camper van 4x4 ci permetterà di raggiungere luoghi remoti e vivere esperienze uniche, sempre con il comfort di una casa su quattro ruote. La scorsa estate erano state fatte alcune prove (qui l'inizio, qui la fine) con una specie di interrail o comunque spostandoci solo con mezzi pubblici. Le prossime esplorazioni vedranno cambiare mezzo: un van superattrezzato (ecco come usare Starlink in viaggio) con cucina, bagno e due letti più uno (che potrebbe essere il mio) per scoprire nuovi mondi e nuove culture. Soprattutto permetterà a lui di non prendere l'areo, neanche per raggiungere la Terra del Fuoco. Ecco VIKI cosa è riuscita a trovare per i 70K volatilizzati in questo piccolo gadget:

Caratteristiche Tecniche

  • Base e Motorizzazione

    • Telaio: Ford Transit
    • Motore: 2.0 TDCi
    • Potenza: 170 CV
    • Trasmissione: Manuale a 6 rapporti (
    • Trazione: Integrale 4x4
    • Omologazione: Euro 6D Final
  • Dimensioni e Peso

    • Lunghezza: 5,98 m
    • Larghezza: 2,05 m
    • Altezza: 2,83 m
    • Passo: 3,75 m
    • Peso a vuoto: Circa 3.000 kg
    • Massa massima autorizzata (MMA): 3.500 kg
  • Interni e Disposizione

    • Posti omologati: 4
    • Posti letto: 2+1 (letto posteriore trasversale, con opzione letto anteriore aggiuntivo)
    • Cucina: Piano cottura a gas con due fuochi, lavello in acciaio inox, frigorifero da 70 litri con apertura su entrambi i lati
    • Bagno: Compatto con WC a cassetta, doccia separata e lavandino
    • Zona giorno: Sedili anteriori girevoli, tavolo pieghevole, dinette compatta
    • Stivaggio: Pensili superiori, vano sotto il letto, armadi laterali
  • Impianti e Autonomia

    • Serbatoio acqua potabile: 100 litri
    • Serbatoio acque grigie: 90 litri
    • Impianto di riscaldamento: Truma Combi Diesel 
    • Impianto elettrico: Batteria servizi AGM da 95 Ah (opzionale batteria al litio)
    • Pannelli solari: Opzionali fino a 180W

Capacità Off-Road

Il Carado CV590 4x4 si distingue per la sua trazione integrale intelligente, che assicura una guida sicura su terreni difficili come neve, sabbia e sterrati. Grazie all'altezza da terra maggiorata e alle protezioni sottoscocca, questo van camperizzato offre una libertà di movimento superiore rispetto ai tradizionali furgonati a trazione anteriore.

Conclusione

Il Carado CV590 4x4 è la scelta ideale per chi cerca un camper compatto ma con prestazioni elevate, perfetto per viaggi avventurosi senza rinunciare al comfort. La sua combinazione di trazione integrale, efficienza degli spazi e dotazioni moderne lo rendono un veicolo perfetto per esploratori moderni e amanti della natura. Io e Gettons non vediamo l'ora di testarlo su strada, affrontando ogni tipo di percorso con la libertà di un viaggio senza confini!

Ora con questa piccola descrizione spero che arrivino i banner di Google Adsense relativi al Carado (nome in codice CORRADO) così mi posso rifare della spesa.
 

Juventus 1 - Genoa 0

 
Durante la pausa per le Nazionali, come tutti sapranno, Motta è stato esonerato ed al suo posto Inserito Tudor che porta con sè la juventinità. Termine che per me è  una scusa per nascondere l'ennesimo fallimento della scoietà ed il più grosso da parte di Giuntoli. Perchè va detto: Motta piaccia o no avrebbe dovuto portare avanti un progetto. Come in passato lo avevano Sarri e Pirlo. Non mi pronuncio su Allegri, perchè lui è stato richiamato e quindi gli iniziali progetti accantonati. Adesso si torna con il traghettatore, che probabilmente riceverà critiche per colpe non sue o elogi per meriti che almeno inizialmente non può avere. Lui, così come Motta, deve dimostrare di poter far ben in una squadra con le ambizioni della Juve. Fare bene altrove, in squadre che non lottano per la vittoria (infatti il caso di Sarri era differente, nonostante mi facesse abbastanza schifo), conta proprio poco. Comunque adesso abbiamo la juventinità in panchina anche se nella partita di oggi non è cambiato assolutamente niente. Koop sempre in campo a far la statua, vittoria strimizzita sebbene mai sofferta, diverse palle sprecate ed un po' di confusione. I giocatori quelli sono e oggi, ma come in altre occasioni, la voglia di portare a casa il risultato c'era. E questa era sparita negli ultimi tempi. Vittima però di avversari meno modesti e di esser passati subito in svantaggio. Vediamo per le prossime, questa ho voluto fortemente guardarla e son felice di aver vinto.

Artigli (1977)


Regia: Denis Heroux
 Anno: 1977
Titolo originale: The Uncanny
Voto e recensione: 3/10
Pagina di IMDB
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Film:
 Artigli (titolo originale "The Uncanny") è un film horror antologico del 1977 diretto da Denis Héroux, che esplora il lato oscuro e vendicativo dei gatti attraverso tre episodi distinti, incorniciati dalla storia di uno scrittore (Peter Cushing) deciso a dimostrare al suo editore (Ray Milland) la natura malefica dei felini.

Trama degli episodi:

  1. Londra, 1912: Una ricca anziana decide di lasciare tutta la sua eredità ai suoi gatti, scatenando l'ira della sua domestica e del nipote, che complottano per distruggere il testamento. Tuttavia, i gatti si rivelano protettivi e vendicativi nei confronti della loro padrona.

  2. Quebec, 1975: Lucy, una giovane orfana, si trasferisce a vivere con la zia e la cugina, che la maltrattano. Con l'aiuto del suo gatto Wellington e della magia nera, Lucy trova un modo per affrontare le sue oppressioni.

  3. Hollywood, 1936: Un attore (Donald Pleasence) trama l'omicidio della moglie per favorire la sua amante, ma il gatto della defunta non tarda a vendicarsi. In questo episodio, Donald Pleasence sembra divertirsi particolarmente nel suo ruolo, conferendo un tono più grottesco e ironico alla vicenda rispetto agli altri segmenti.

Come grande maestro di critica cinematografica punto il dito su una sceneggiatura banale e una regia poco ispirata, nonostante la presenza di attori di calibro come Cushing, Milland e Pleasence.

Tuttavia, il film presenta elementi di interesse per gli appassionati del genere horror antologico, soprattutto per l'atmosfera vintage e l'approccio narrativo tipico delle produzioni Amicus, nonostante questa non sia direttamente coinvolta nella produzione. La presenza di attori iconici e l'idea di esplorare la natura vendicativa dei gatti conferiscono al film un fascino particolare, anche se l'esecuzione potrebbe non soddisfare tutti gli spettatori.

"Artigli" offre uno sguardo curioso sul mondo dei felini attraverso storie che mescolano suspense, vendetta e un tocco di umorismo nero. Pur non essendo un capolavoro del cinema horror, può risultare interessante per chi apprezza le antologie e desidera riscoprire il fascino dei film di genere degli anni '70.

Edizione: DVD
Qualità un po' bassina, ma probabilmente si tratta di un film anzianotto e di serie B, quindi nessuno ha fatto salti mortali per portarlo in alta definizione. Comunque traccia audio in multicanale e come extra:
  • Galleria
  • Trailer
 

La Città Proibita (2025)


 
Regia: Gabriele Mainetti
Anno: 2025
Titolo originale: La Città Proibita 
Voto e recensione: 7/10
Pagina di IMDB (7.1)
Pagina di I Check Movies

Dopo "Lo chiamavano Jeeg Robot" e "Freaks Out", le aspettative per "La Città Proibita" erano altissime. E, per quanto il film non raggiunga l'impatto devastante dei suoi predecessori, si conferma comunque un'opera eccezionale, che dimostra ancora una volta il talento visivo e narrativo di Gabriele Mainetti.

Ambientato nella italianissima Roma multietnica, il film mescola azione, noir e dramma con una naturalezza sorprendente. Una delle caratteristiche che colpisce maggiormente è la qualità delle coreografie di combattimento corpo a corpo: non ricordo un film italiano che abbia mai osato tanto su questo fronte. Le scene d'azione sono fluide, coreografate con grande cura e girate con una fotografia che esalta ogni movimento, restituendo un dinamismo raro nel cinema nostrano.

I personaggi sono uno dei punti di forza della pellicola. Molti di loro hanno una profondità inaspettata e si rivelano autentiche merde (sì, lo scrivo così, perché rende bene l'idea). Mainetti non ha paura di mostrarci figure ambigue, oscure, mosse da interessi personali o dall'egoismo, rendendo il tutto molto più realistico e meno patinato rispetto a tanto cinema italiano contemporaneo.

Se c'è un punto in cui il film perde un po' di mordente, è nella parte centrale: il colpo di scena arriva con un ritmo un po' troppo dilatato e, sebbene funzioni nel contesto generale, avrebbe potuto essere gestito con più incisività. Inoltre, l'arrangiamento per forzare la storia d'amore tra i protagonisti mi è sembrato superfluo e meno riuscito rispetto al resto del film. Fortunatamente, questi elementi non intaccano troppo la potenza visiva e narrativa del racconto.

La fotografia merita un discorso a parte. Come già accaduto in "Freaks Out", Mainetti dimostra di avere un occhio incredibile per l'immagine. Ogni inquadratura è studiata con cura, con una Roma che si fa viva e pulsante, in bilico tra degrado e fascino, tra luci al neon e ombre minacciose. La città diventa un personaggio a tutti gli effetti, capace di influenzare gli eventi tanto quanto gli esseri umani che la popolano.

In definitiva, "La Città Proibita" è un altro centro per Mainetti, anche se con qualche riserva. Meno dirompente rispetto ai suoi precedenti lavori, ma comunque un film di altissimo livello, che lascia il segno e dimostra ancora una volta che in Italia si può fare cinema di genere con qualità e ambizione. Imperdibile.


 
 
 

venerdì 28 marzo 2025

Reacher [Stagione 3]

 

Anno: 2025 
Titolo originale: Reacher
Stagione: 3
Numero episodi: 8
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La terza stagione di Reacher adatta La vittima designata (Persuader), un romanzo che ho letto ma di cui ricordo poco. Questo potrebbe essere un punto a favore della serie, permettendomi di viverla senza il peso del confronto diretto con il libro. Tuttavia, pur trovandola godibile, non posso negare di aver avvertito una certa stanchezza nella formula.

Alan Ritchson è sempre perfetto nel ruolo di Jack Reacher, fisicamente imponente e letale come ci si aspetta. L’atmosfera resta in linea con quella dei romanzi: oscura, violenta, con un protagonista che affronta tutto con il suo solito mix di logica implacabile e pugni devastanti. La storia, che si sviluppa attorno a un'operazione sotto copertura con un forte elemento di vendetta personale, riesce a mantenere alta la tensione, anche se non sempre sorprende.

Il problema principale è che, dopo tre stagioni, la serie sembra girare un po’ in tondo. Gli scontri fisici sono ancora spettacolari, ma prevedibili. La struttura narrativa segue binari collaudati, con Reacher che analizza, combatte, smaschera i nemici e prosegue senza mai un cedimento. Se da un lato questa coerenza è apprezzabile, dall’altro inizia a far perdere mordente alla visione.

In definitiva, Reacher 3 è un buon intrattenimento, ma la sua ripetitività comincia a farsi sentire. Rimane una serie solida per chi ama il genere e il personaggio, ma servirebbe una scossa per evitare che la stanchezza prenda il sopravvento.


giovedì 27 marzo 2025

Sonic - Il Film (2020)

The titular Sonic the Hedgehog runs on a road pursued by drones and missles, atop a background of a cityscape and a ring with Dr. Robotnik inside it.
Regia: Jeff Fowler
Anno: 2020
Titolo originale: Sonic The Hedgehog
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.5)
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Film:

Quando si parla di adattamenti cinematografici di videogiochi, spesso il risultato è incerto, con film che finiscono per tradire lo spirito del materiale originale o semplicemente non riuscire a trovare il giusto equilibrio tra fan service e una storia godibile per tutti. Sonic - Il film  sorprende perché, pur prendendosi alcune libertà, riesce a essere un prodotto divertente e ben confezionato, perfettamente adatto a un pubblico variegato. Sicuramente può avvicinare nuove leve ai vecchi prodotti.

Non sono mai stato un grande giocatore di Sonic. Da bambino, nella guerra tra Nintendo e Sega, tendevo a schierarmi più con la prima, sebbene non avessi nemmeno una console dell’epoca. Questo significa che, pur conoscendo il personaggio e avendo avuto modo di provarlo sporadicamente, non avevo un legame nostalgico così forte con il franchise. Proprio per questo mi ha colpito il fatto che il film sia riuscito a intrattenermi senza farmi sentire escluso da un universo che non mi apparteneva del tutto.

La trama è piuttosto semplice: Sonic, un riccio alieno dotato di velocità straordinaria, vive nascosto sulla Terra per sfuggire a coloro che vogliono catturarlo e sfruttare il suo potere. Nel corso della sua permanenza nel nostro mondo, finisce per attirare l’attenzione del governo, che incarica il geniale e megalomane Dr. Robotnik di catturarlo. A interpretare il cattivo c’è Jim Carrey, in una versione più snella e meno cartoonesca rispetto all’iconico Eggman del videogioco, ma comunque perfettamente sopra le righe. Il suo Robotnik è un ritorno ai ruoli comici e fisici che lo hanno reso famoso negli anni ‘90, con una performance che ruba la scena in più occasioni. Curiosamente, il suo taglio di capelli in questo film è esattamente lo stesso che ho io ora, il che ha reso la visione ancora più bizzarra.

Visivamente, il film è colorato e vivace, con effetti speciali più che discreti, soprattutto considerando che la produzione è partita con il famigerato design originale di Sonic, poi scartato in favore di uno più fedele a quello visto nei videogiochi dopo le critiche dei fan. Il risultato finale è un personaggio credibile e ben animato, con una personalità simpatica e vivace che lo rende un protagonista facilmente apprezzabile.

La commedia è leggera, con un mix di gag slapstick, battute moderne e qualche citazione che i fan più accaniti apprezzeranno. La dinamica tra Sonic e il coprotagonista umano, interpretato da James Marsden (casualmente appena visto in Westworld), funziona bene e richiama un po’ il classico schema del buddy movie. Certo, la sceneggiatura non è particolarmente originale, e il film non si prende mai troppi rischi, seguendo il percorso più sicuro possibile, ma è un’operazione riuscita per quello che si propone di essere: un film per famiglie con un ritmo veloce e un personaggio iconico al centro dell’azione.

Sonic - Il film non è un capolavoro né un film che rivoluziona il genere, ma è una visione piacevole, che scorre bene e riesce a evitare la maledizione degli adattamenti da videogiochi. Se si è fan del riccio blu, probabilmente sarà un’esperienza ancora più apprezzabile; se, come me, si è sempre stati più vicini ad altri videogiochi, resta comunque un film godibile che non pretende troppo dallo spettatore.

 
Edizione: bluray
Classica amaray con traccia italiana in Dolby Digital 5.1 e molti extra:
  • Commento audio
  • Il giro del mondo in 80 secondi (2 minuti)
  • Scene inedite (13 minuti)
  •  Papere (2 minuti)
  • Video musicale Speed Up Me
  • Per amore di Sonic (4 minuti)
  • La creazione di Robotnik (4 minuti)
  • Bufera blu: la nascita di Sonic (6 minuti)
  • Sonic sul set (3 minuti)
 
 

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IL DECLINO DEL SUPPORTO FISICO: ANCHE I MOBILI GETTANO LA SPUGNA

C’è un problema sottovalutato nell’inarrestabile declino del supporto fisico: trovare un mobile decente per i DVD e i Blu-ray è diventata un’impresa titanica. Non parlo delle solite librerie IKEA che si adattano a tutto e a niente, ma di veri e propri espositori pensati per collezioni organizzate, magari con dimensioni studiate apposta per evitare di sprecare spazio.

Una volta, chi collezionava film aveva a disposizione interi cataloghi di soluzioni dedicate. Torri porta-DVD, scaffali modulari, persino eleganti mobili con ante a vetro. Poi è arrivato lo streaming, il digitale, il cloud. E con essi, la desertificazione del mercato dei supporti fisici. Non solo i film in formato disco sono diventati prodotti di nicchia, ma anche i mobili per contenerli sono scomparsi quasi del tutto. Se cerchi qualcosa oggi, ti ritrovi a fare i conti con quattro possibilità:

  1. L’usato vintage – Oggetti fuori produzione, spesso trovabili solo su eBay o mercatini dell’usato. Peccato che molti abbiano design discutibili o siano progettati in plastica per le collezioni non proprio da esporre 
  2. Adattare mobili generici – Le librerie BILLY e KALLAX di IKEA regnano sovrane. Ma sono soluzioni pensate per libri, non per DVD e Blu-ray, con ripiani spesso troppo profondi o altezze inutilmente abbondanti. Un’accozzaglia di dischi che scivolano indietro, di spazi vuoti e di organizzazioni raffazzonate.
  3. Soluzioni artigianali – Farsi costruire mobili su misura è possibile, ma decisamente costoso. Oppure bisogna armarsi di pazienza e spirito di adattamento, modificando mobili esistenti con divisori e staffe improvvisate.
  4. Sborsare soldi o perdere tempo – Esistono ancora prodotti specifici, ma spesso hanno prezzi ingiustificatamente alti o si trovano solo in negozi di nicchia. L’alternativa è passare ore su vari store online, confrontando modelli che sembrano perfetti in foto ma che poi, nei dettagli, hanno sempre qualche difetto o limite frustrante.

Nel corso degli ho trovato comunque diverse soluzioni, anche se purtroppo con disponibilità limitata. Non me ne vogliate, ma a sto giro non metto link per paura che possiate finirmi ogni scorta. 

Questa situazione è lo specchio di una realtà ormai evidente: il mercato non crede più nei supporti fisici, e di conseguenza non investe più nei complementi d’arredo per chi vuole conservarli. Chi colleziona film oggi è costretto a muoversi come un archeologo nel proprio tempo, cercando di preservare con dignità qualcosa che il mondo ha deciso di abbandonare.

Eppure, il paradosso è che il supporto fisico, per gli appassionati, ha ancora un valore insostituibile. Qualità video e audio superiore, edizioni limitate, contenuti speciali, il piacere di possedere qualcosa di tangibile. Ma per il mercato, se non puoi chiuderlo in un hard disk o in un server, semplicemente non esiste più.

Mi chiedo fino a quando si troveranno ancora mobili adatti prima che anche gli ultimi esemplari diventino reliquie di un’epoca passata. Magari, tra qualche anno, il mobile porta-DVD diventerà un pezzo d’antiquariato, un oggetto di culto per collezionisti nostalgici. Ma fino ad allora, chi non vuole rinunciare a esporre la propria collezione dovrà accontentarsi di soluzioni di fortuna. O costruirsele da solo.

Libri e vinili resistono, i CD arrancano

C’è però una curiosa eccezione a questo declino generalizzato: i libri. Fortunatamente, per loro esistono ancora librerie di ogni forma e dimensione, pensate per ospitare collezioni di qualsiasi genere. Anche il vinile, dato per morto decenni fa, è riuscito a risorgere con una forza inaspettata, e infatti non è raro trovare mobili specifici per raccogliere e organizzare LP in modo ordinato e funzionale.

I CD, invece, seguono la triste sorte dei DVD. Anche loro sembrano ormai confinati alla categoria degli ingombri inutili, tanto che trovare un mobile decente per esporli è quasi altrettanto difficile. Sembra che il mondo abbia deciso che la musica debba esistere solo in digitale, senza più bisogno di spazio fisico.

Alla fine, sembra che la selezione naturale dell’arredamento abbia decretato che solo alcuni supporti meritano di sopravvivere. Per il resto, ci tocca arrangiarci.


mercoledì 26 marzo 2025

Westworld - Dove Tutto E' Concesso [Stagione 2]

 

Anno: 2018
Titolo originale: Westworld
Numero episodi: 10
Stagione: 2
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Westworld – Stagione 2: L’illusione del libero arbitrio

La seconda stagione di Westworld è un labirinto di narrazione, un gioco metanarrativo che mette alla prova lo spettatore tanto quanto i suoi personaggi. Dopo il finale esplosivo della prima stagione, la serie di Jonathan Nolan e Lisa Joy si spinge ancora più in là nel concetto di coscienza artificiale, libero arbitrio e costruzione della realtà.

Se la prima stagione era un lungo prologo per il risveglio delle macchine, la seconda si concentra sulle conseguenze: il caos che segue la ribellione degli host e il tentativo disperato degli umani di riprendere il controllo del parco. Ma Westworld non è mai stato una serie lineare, e questa stagione ne è la prova definitiva: il racconto è fratturato, disseminato di flashback e salti temporali, con più linee narrative che si intrecciano fino a un climax che cambia ancora una volta le regole del gioco.

Il labirinto diventa una porta

Uno degli aspetti più affascinanti della seconda stagione è la trasformazione del simbolismo del labirinto. Se nella prima rappresentava il percorso interiore dei residenti verso la coscienza, ora diventa una porta, una via di fuga verso un mondo digitale promesso a coloro che riescono a raggiungerlo. Il sogno della libertà si sposta quindi su un nuovo livello: non si tratta più di prendere coscienza, ma di trovare un nuovo destino, lontano dalle catene del mondo umano.

Dolores (Evan Rachel Wood) emerge come un'antagonista implacabile, guidata da una visione radicale della libertà che la spinge a compiere scelte spietate. Se nella prima stagione il suo percorso era quello della vittima che diventa consapevole della propria esistenza, ora è un’eroina tragica, disposta a sacrificare tutto per distruggere il sistema che l'ha creata. La sua contrapposizione con Maeve (Thandiwe Newton) è il cuore emotivo della stagione: se Dolores è spinta dalla vendetta e dalla distruzione, Maeve è mossa dall’amore e dalla speranza, in particolare per ritrovare la figlia perduta.

Bernard (Jeffrey Wright), invece, è il vero enigma della stagione. Smarrito tra i suoi ricordi e manipolato da forze più grandi di lui, incarna la confusione dello spettatore. La sua mente è un puzzle, e ogni episodio aggiunge o rimuove un tassello, fino a rivelare la verità sulla sua natura e sul ruolo che Ford (Anthony Hopkins) ha ancora nella sua esistenza.

Il Giappone di Shōgunworld e la bellezza delle sottotrame

Uno dei punti più riusciti della stagione è l’introduzione di Shōgunworld, un parco ispirato al Giappone feudale, che fa da specchio a Westworld. Qui, la serie gioca con il concetto di narrazione riciclata, mostrando come gli stessi archetipi vengano ripetuti in mondi diversi. L’episodio ambientato in questo universo è visivamente splendido e offre uno dei momenti più poetici della stagione.

Altre sottotrame, come quella dedicata ad Akecheta (Zahn McClarnon), offrono una variazione tematica potente, anche se l'ho trovata noiosa. L’episodio Kiksuya, interamente in lingua lakota, è un esempio straordinario di storytelling emotivo, raccontando la presa di coscienza di un residente attraverso una lente più intima e meno legata alla violenza. Diciamo una specie di episodio per staccare da tutto il resto.

Il finale e il futuro di Westworld

Il finale della seconda stagione è un turbine di rivelazioni, tradimenti e cambi di prospettiva. La serie si spinge oltre il parco, lasciando intendere che la vera battaglia sta per iniziare nel mondo reale. Alcuni personaggi trovano la loro fine, altri si trasformano, e altri ancora scompaiono per poi riapparire in forme inaspettate.

Westworld continua a essere una serie che sfida lo spettatore, ponendo domande più che offrendo risposte. Se la prima stagione giocava con il concetto di coscienza e destino, la seconda si interroga sulla natura della realtà e sulla possibilità di redenzione. È un viaggio non sempre facile, a volte volutamente ostico, ma ricco di momenti visivamente ed emotivamente potenti.

Un rapporto diverso con i residenti

Se nella prima stagione si poteva provare una sorta di empatia con le macchine, questa scompare del tutto nella seconda. Dolores, in particolare, diventa una figura talmente fredda e spietata che diventa difficile vederla come una vittima, mentre il resto degli host sembra più impegnato a sopravvivere o a portare avanti il proprio disegno personale, piuttosto che a riflettere sulla loro condizione.

Ma a ben vedere, questo è un aspetto che Westworld porta alle estreme conseguenze proprio per farci riflettere su un concetto più ampio: quanto senso ha provare empatia per esseri artificiali programmati per reagire in un certo modo? Se davvero ci facessimo coinvolgere, dovremmo sentirci in colpa per ogni NPC che abbiamo ucciso in un videogioco. E parliamo di una lista infinita: dal primo Doom, dove sterminiamo orde di demoni pixelati, a GTA, dove l’eliminazione di pedoni e poliziotti è parte del divertimento, fino a The Last of Us, che ci costringe a uccidere avversari umani resi emotivamente credibili, ma pur sempre virtuali.

La seconda stagione di Westworld, in un certo senso, ci mette di fronte a questa contraddizione: siamo disposti a compatire i residenti solo finché sembrano indifesi e in balia del loro destino, ma quando prendono il controllo e iniziano a comportarsi come veri antagonisti, smettiamo di considerarli degni di empatia. Proprio come nei videogiochi, dove la distinzione tra "personaggi vivi" e "semplici ostacoli da superare" è dettata solo dal nostro coinvolgimento nella storia.

Con questa stagione, la serie abbandona definitivamente ogni pretesa di essere un semplice thriller fantascientifico per diventare una riflessione profonda sul controllo, sulla libertà e sulla costruzione della nostra identità. Il mondo di Westworld è più grande di quanto pensassimo, e il gioco è appena cominciato. Nonostante in molti sconsiglino di continuare, son curioso di vedere almeno gli episodi iniziali della terza.


Il Magnifico West (1972)

Il magnifico west (Oblivion Grindhouse)
Regia: Gianni Crea
Anno: 1972
Titolo originale: Il Magnifico West 
Voto e recensione: 2/10
Pagina di IMDB (4.1)
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Film:

Negli anni ‘70, con il declino dello spaghetti western classico, il genere si è frammentato in vari sottogeneri, tra cui la parodia e il western avventuroso a basso costo. Il Magnifico West, diretto da Gianni Crea, appartiene proprio a questa seconda categoria, un film che cerca di mescolare azione, ironia e scenari tipici del western all’italiana, ma con risultati altalenanti.

La trama è piuttosto convenzionale: duelli, banditi, sceriffi e un protagonista che incarna il cliché del cowboy scaltro e abile con la pistola. Tuttavia, il film soffre di una produzione povera, con scenografie poco credibili e un montaggio spesso approssimativo. La regia di Crea è funzionale, ma manca del tocco distintivo che ha reso celebri i grandi registi del genere, come Sergio Leone o Sergio Corbucci.

Dal punto di vista della recitazione, gli attori fanno quello che possono con i dialoghi a disposizione, ma i personaggi risultano spesso macchiettistici. A tratti, il film assume involontariamente toni comici, soprattutto per la scarsa cura nella messa in scena di alcune sequenze d’azione.

Un aspetto curioso del film è la presenza di Fiorella Mannoia nel cast: Il Magnifico West segna infatti il suo primo accredito ufficiale al cinema. Prima di diventare una delle voci più celebri della musica italiana, la Mannoia ha avuto una breve carriera come stuntwoman e attrice in alcuni film di genere, e questo western rappresenta una delle sue prime apparizioni sul grande schermo.

Nel complesso, Il Magnifico West è un prodotto di serie B che può incuriosire gli appassionati di western italiani minori, ma difficilmente lascerà il segno in chi cerca un film davvero avvincente o memorabile. Un titolo da riscoprire più per curiosità storica che per reale valore cinematografico.


Edizione: DVD
 
Uscita #31 della collana Oblivion Grindhouse che ha riportato in auge una serie di lavori senza tempo. Traccia italiana in stereo e nessun extra, ma una buona resa fatta eccezione per alcune scene scure che sgranano un po'

martedì 25 marzo 2025

The Rolling Stones - Aftermath

 
Autore: The Rolling Stones 
Anno: 1966
Tracce versione UK: 14
Tracce versione USA: 11

Aftermath – The Rolling Stones (1966): tra evoluzione e provocazione

Non sono mai stato una grande fan dei Rolling Stones, eppure ho entrambe le versioni di Aftermath: quella UK in CD e quella USA in vinile (che ora vanno parecchio di moda) . Non è stato un acquisto dettato dall’amore per la band, ma piuttosto dalla voglia di capire perché abbiano avuto un impatto così enorme sulla storia del rock. Mio babbo, al contrario, li ascoltava volentieri, forse anche per quella contrapposizione quasi ideologica con i Beatles che ai tempi era un classico.

Se c’è una canzone degli Stones che mi ha sempre colpito, però, è Paint It, Black. Oscura, ipnotica, con quel riff di sitar che Brian Jones suona come se fosse un incantesimo. È proprio per questo che la versione USA di Aftermath, che la include in apertura, ha sempre avuto un fascino speciale per me: è un ingresso potente in un album che segna la maturità della band. Quando presi il CD della versione UK, ero ignaro che mancasse. 

Un album di svolta per gli Stones

Pubblicato nel 1966, Aftermath è il primo album interamente scritto da Jagger e Richards. Non ci sono più cover blues o rock’n’roll: qui gli Stones cominciano davvero a definire il loro stile, con testi più taglienti e arrangiamenti più ambiziosi. È un disco che non cerca di piacere a tutti i costi, e questo lo rende ancora più interessante.

Gli strumenti usati sono insoliti per un album rock dell’epoca: il sitar in Paint It, Black, il dulcimer appalachiano in Lady Jane, la marimba in Under My Thumb. Il risultato è un suono più vario e sofisticato rispetto ai dischi precedenti. I testi, poi, mostrano il lato più cinico e provocatorio della band: Under My Thumb è una sorta di vendetta emotiva, Stupid Girl un attacco feroce (e un po’ misogino) alle donne superficiali, mentre Mother’s Little Helper fotografa con sarcasmo la dipendenza delle casalinghe dagli ansiolitici.

Versione UK vs. Versione USA

Come spesso accadeva negli anni ’60, le edizioni inglese e americana differiscono:

  • UK Version (14 tracce, aprile 1966)
    Più completa e organica, include Out of Time, uno dei brani più pop e orecchiabili del disco, e Take It or Leave It, una ballata delicata che bilancia i toni più aggressivi dell’album.

  • USA Version (11 tracce, giugno 1966)
    Meno tracce, ma con il vantaggio di aprirsi con Paint It, Black, che in UK uscì solo come singolo. Questo cambia completamente la percezione dell’album: la versione americana suona più oscura e intensa fin dall’inizio, ma perde alcuni brani significativi.

Un album seminale, anche per chi non è fan

Pur non essendo una devota degli Stones, riconosco che Aftermath è un disco fondamentale. È il momento in cui la band smette di essere un semplice fenomeno da classifica e diventa un punto di riferimento del rock.

Se la versione UK offre un quadro più ampio della loro evoluzione, quella USA ha l’indiscutibile punto di forza di iniziare con Paint It, Black. E per me, che considero quella canzone la loro vetta assoluta, non è un dettaglio da poco.


lunedì 24 marzo 2025

Ryanair Prime: sconti per abbonati

 

Ryanair lancia “Prime”: abbonamento annuale per voli scontati

Ryanair ha annunciato il lancio di Prime, un nuovo programma in abbonamento che promette di far risparmiare ai viaggiatori oltre cinque volte il costo annuale di 79 euro. L’iniziativa si inserisce nella strategia della compagnia per fidelizzare i clienti e offrire vantaggi esclusivi a chi viaggia frequentemente.

Cosa offre Ryanair Prime?

L’abbonamento permette di accedere a una serie di sconti su voli e servizi, tra cui:

  • Tariffe esclusive per i membri Prime (1 al mese) .
  • Risparmi su posti a sedere.
  • Assicurazione viaggio gratuita 

Secondo Ryanair, chi aderisce al programma può recuperare il costo dell’abbonamento in pochi voli, rendendolo vantaggioso per chi viaggia spesso.

Conviene davvero?

L’idea di un abbonamento annuale per sconti sui voli low-cost è interessante, e in realtà ci hanno già pensato, ma la convenienza dipende dalle abitudini di viaggio di ogni passeggero. Se voli più volte all’anno con Ryanair e utilizzi servizi extra come il bagaglio a mano grande o la scelta del posto, potrebbe valere la pena investire nei 79 euro richiesti. Al contrario, per chi vola occasionalmente, il risparmio potrebbe essere minimo o nullo.

Ryanair punta così a consolidare il rapporto con i clienti abituali e a spingere i passeggeri a scegliere sempre la compagnia irlandese per i loro spostamenti in Europa. Io non ho mai assicurato un volo e scelgo solo i posti gratuiti quando prendo il bagaglio poi grande. C'è da vedere in cosa consistono queste 12 offerte esclusive, e se non hai in programma di partire o non hai le ferie serve solo a farti mangiare le mani. 

Cosa ne pensate di questo nuovo abbonamento? Lo testereste per i vostri viaggi?


Karel Thole: L’Artista di Urania e dei Mondi Impossibili

 

Da qualche mese partecipo (perlopiù lurkando) ad alcuni gruppi con tema fantascienza, e finalmente ho trovato persone affini che come me si sono affezionate alle copertine di alcuni libri. Ho una discreta, anche se incompleta, collezione di Urania (originali prime edizioni e ristampe) e devo dire che le copertine mi hanno da sempre affascinato, spesso colpito più del titolo in fase di acquisto. E gran parte delle volte devo ringraziare un certo artista. Se sei cresciuto sfogliando le pagine di Urania, il suo nome è più di un semplice ricordo: Karel Thole è l’immaginazione fatta immagine, il filtro visionario attraverso cui la fantascienza ha preso forma nel nostro immaginario. Le sue copertine non erano solo illustrazioni: erano portali verso l’ignoto, frammenti di universi surreali che promettevano meraviglia e inquietudine.

Un Maestro tra Due Mondi

Nato nei Paesi Bassi nel 1914, Karel Thole inizia la sua carriera artistica tra la pubblicità e l’illustrazione, ma è in Italia che trova la sua vera dimensione creativa. Nel 1958 viene chiamato dalla Mondadori per dare un nuovo volto alla collana Urania, e da quel momento il suo stile diventa indissolubilmente legato alla fantascienza italiana.

Thole non si limitava a rappresentare astronavi scintillanti o robot metallici, come spesso accadeva nelle copertine pulp americane. Il suo era un approccio più onirico e surreale, ispirato all’arte simbolista e a quella visionaria di artisti come Max Ernst e Salvador Dalí. Le sue immagini erano un amalgama di corpi distorti, occhi spalancati nel vuoto, paesaggi alieni e figure sospese tra il grottesco e il metafisico. Un’estetica che si adattava perfettamente alla fantascienza più sofisticata, quella che esplorava gli abissi dell’inconscio oltre che quelli dello spazio.

Il Volto della Fantascienza Italiana

Con oltre vent’anni di copertine per Urania, Thole ha definito l’identità visiva della collana, influenzando generazioni di lettori e artisti. Ogni sua illustrazione era un invito a perdersi nell’ignoto, un biglietto d’ingresso per storie che mescolavano meraviglia e terrore cosmico.

Le sue opere non si limitano alla fantascienza: ha illustrato anche libri di gialli, horror e romanzi gotici, collaborando con autori come Edgar Allan Poe, Lovecraft e Stephen King. Ma è con la SF che ha lasciato il segno più profondo.

Un’Eredità Indelebile

Karel Thole è morto nel 2000, ma la sua influenza è ancora viva. Le sue copertine sono ormai icone della cultura pop, celebrate da collezionisti e appassionati. La sua capacità di evocare mondi impossibili resta insuperata, un’arte che continua a stimolare l’immaginazione di chiunque abbia mai sognato guardando un suo dipinto.

Se Urania è stata per molti il primo contatto con la fantascienza, Thole è stato il primo ad accompagnarci in quel viaggio. E ogni volta che apriamo una vecchia edizione, è ancora lì, con le sue creature impossibili e i suoi paesaggi alieni, pronto a mostrarci qualcosa che non avevamo mai visto prima.


domenica 23 marzo 2025

Elba: non solo spiagge #24

 

Alla scoperta dell’Elba e della Chiesa di Santo Stefano alle Trane

La primavera inizia a farsi sentire sul serio, e con una giornata così limpida e soleggiata, quale occasione migliore per una visita all’Elba? Oltre a trovare Funflus, che ormai ha fatto dell’isola la sua base lavorativa, ho approfittato della giornata FAI di Primavera per scoprire un piccolo gioiello: la chiesetta di Santo Stefano alle Trane. A proposito, se non siete iscritti al FAI, qui qualche riga in cui spiego di cosa si tratta. 

L’Elba ha sempre il suo fascino, ma con il sole che scalda senza bruciare e una brezza leggera che rende il clima perfetto, il paesaggio risulta ancora più suggestivo. Il verde brillante della macchia mediterranea, i profumi della stagione e il blu intenso del mare fanno da sfondo a un’esperienza che mescola il piacere della scoperta con il semplice godersi il momento.

La chiesetta di Santo Stefano alle Trane è una piccola perla romanica immersa nel verde, con una storia che risale a secoli fa. Il FAI ha reso possibile l’accesso e la visita, regalando l’opportunità di entrare in un luogo che altrimenti rimarrebbe chiuso ai più, sebbene in alcuni giorni si svolgano le funzioni religiosa. L’interno è semplice, ma conserva quel fascino delle strutture antiche, dove il tempo sembra essersi fermato, anche con i vari restauri. 

Nel complesso, una giornata perfetta per staccare, esplorare e godersi il meglio che questa stagione ha da offrire. L’Elba, come sempre, non delude.

Album fotografico Chiesetta di Santo Stefano alle Trane 


sabato 22 marzo 2025

Danko (1988)


Regia: Walter Hill
Anno: 1988
Titolo originale: Red Heat
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.1)
Pagina di I Check Movies
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Film:
 "Danko"è uno di quei film che, pur non brillando per profondità o innovazione, riesce a incastrarsi perfettamente nel cuore di chi ha vissuto gli anni Ottanta. Per chi ha oggi 40-50 anni, come me, è un pezzo di storia cinematografica che, per quanto non imprescindibile, è impossibile dimenticare. Perché? Perché racchiude tutti gli elementi di quel decennio, quelli che ci facevano sognare e ci facevano sentire invincibili: azione, personaggi "larger than life", e una trama che si poggiava su un'onda di adrenalina.

Il film è un miscuglio di stereotipi tipici dell'epoca: un capitano delle milizie sovietiche, il carismatico (sic) Arnold Schwarzenegger, che deve affrontare una missione tanto pericolosa quanto banale, la cattura di un criminale fuggito in America. La trama, diciamolo, non è nulla di che: l'eterna lotta tra il bene e il male, ma con un mix di accento slavo (in originale manca la battuta su Danko nato stanco, ma si risponde con un "prego" per rispondere a quello che sembrava un "danke") e l'esplosività tipica dei film d'azione. Ma è proprio questa sua semplicità a renderlo un cult. Mentre i critici non si sono mai sbilanciati sul suo valore artistico, per chi è cresciuto in quel periodo, "Danko" è qualcosa di più: è la memoria di un'epoca, insieme ad altre pellicole con Stallone o Gibson.

La cosa curiosa, però, è che il film ha avuto una ricezione differente a seconda del pubblico. In Russia, dove il film fu distribuito con il titolo "Red Heat" (Calore Rosso), molti lo considerarono come una sorta di "sveglia" culturale, poiché mostrava la possibilità di un legame tra il supereroe americano e il brutale e macho personaggio russo. Un'idea audace per l'epoca della Guerra Fredda, che ha fatto breccia nel cuore degli spettatori russi, negli anni finali della dittatura.

Inoltre, alcuni aneddoti sulla produzione ci parlano delle difficoltà che l’attore principale affrontò sul set, dovute non solo alle sequenze d'azione, ma anche alla chimica con il co-protagonista James Belushi. Nonostante le apparenze, i due hanno dovuto lavorare molto sulla loro affinità, vista la differenza di stili recitativi. Schwarzenegger, rigorosamente addestrato e abituato a ruoli solitari, trovò difficoltà ad adattarsi a un copione dove la sua figura doveva integrarsi con quella del più comico e disinvolto Belushi. Ma, alla fine, la loro combinazione fu vincente e divenne uno degli aspetti più apprezzati del film.

Un altro dettaglio interessante riguarda i titoli di testa del film. Alcune lettere, come la N e la R, sono invertite come se fossero allo specchio, un effetto visivo che richiama immediatamente i caratteri cirillici. Questo dettaglio, pur essendo una scelta stilistica minore, aggiunge un tocco di autenticità e si inserisce perfettamente nel contesto della Guerra Fredda, suggerendo l’influenza sovietica e l’atmosfera di tensione tra le due potenze.

Al di là delle scene d’azione e delle espressioni scontate, "Danko" riesce comunque a portare con sé un piccolo, ma significativo messaggio di tolleranza e di sfida alle convenzioni politiche e sociali del tempo. Un film che ci fa riflettere su come l’improbabile alleanza tra due mondi (quello americano e quello sovietico) non sia poi così lontana dalla realtà.

Oggettivamente, "Danko" non è un film che rientra nella lista dei capolavori del cinema, ma per chi ha avuto il privilegio di vederlo nella propria camerina negli anni Ottanta, è un vero e proprio viaggio nei ricordi. E ogni volta che lo guardo, non posso fare a meno di sorridere pensando a quella sensazione di essere in un mondo dove la giustizia e la forza sembravano l'unico antidoto alla follia. Così, tra un'esplosione e un'inquadratura un po' datata, "Danko" rimane per me un film che non stanca mai, un po' come quei vecchi dischi che, nonostante il tempo, ci riportano sempre agli stessi posti.

Ecco, per quanto non sia un capolavoro assoluto, è una di quelle pellicole che mi fa sentire a casa, un tuffo nostalgico che non posso negare.

Edizione: bluray
Versione bluray in amaray verde della collana Gli Implacabili, con audio italiano in DTS HD MA e nessun extra

La Vittima Designata (1971)


Regia: Maurizio Lucidi
Anno: 1971
Titolo originale: La Vittima Designata
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.6)
Pagina di I Check Movies
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Film:

Il thriller italiano degli anni ’70 ha spesso cercato di mescolare tensione psicologica e atmosfere noir, e La Vittima Designata di Maurizio Lucidi ne è un perfetto esempio. Uscito nel 1971, il film si inserisce nel filone del giallo all’italiana, ma con forti influenze hitchcockiane, in particolare dal classico Delitto Per Delitto – L’altro Uomo (1951), di cui riprende lo spunto narrativo dello scambio di omicidi.

La storia ruota attorno a Stefano Augenti (Tomas Milian), un pubblicitario milanese con una vita frustrante. Intrappolato in un matrimonio infelice con la ricca moglie Luisa (Marisa Bartoli), Stefano ha una relazione con una giovane amante e sogna di fuggire con lei. Durante un viaggio a Venezia, incontra il misterioso Conte Matteo Tiepolo (Pierre Clémenti), un aristocratico eccentrico e manipolatore che gli propone uno scambio di delitti: il Conte ucciderà la moglie di Stefano, mentre lui dovrà eliminare il fratello di Tiepolo, con cui ha un rapporto di odio profondo. Stefano, inizialmente scettico, si ritroverà presto coinvolto in un gioco mortale.

Uno degli elementi più riusciti del film è la sua ambientazione. Venezia, con i suoi canali e palazzi decadenti, diventa il palcoscenico perfetto per una storia di inganni e ossessioni. La fotografia di Aldo Tonti sfrutta al meglio la città lagunare, creando un’atmosfera sospesa tra il gotico e il surreale. Il contrasto tra Milano e Venezia è netto: la prima è rappresentata come una metropoli grigia e opprimente, mentre la seconda è quasi un labirinto onirico in cui il protagonista si perde, non solo fisicamente ma anche psicologicamente.

Tomas Milian offre una performance misurata, lontana dai suoi ruoli più iconici nel cinema poliziottesco. Il suo Stefano è un uomo debole e tormentato, prigioniero delle proprie scelte. Pierre Clémenti, invece, è perfetto nel ruolo del Conte Tiepolo: elegante, ambiguo, quasi diabolico. Il suo personaggio è il vero motore della vicenda, un burattinaio che sembra muoversi con sicurezza in un mondo di inganni e illusioni.

Rispetto ai classici gialli italiani del periodo, La Vittima Designata si distingue per un ritmo più lento e un approccio più psicologico. Non ci sono efferati omicidi o gesta spettacolari, ma una tensione sottile che cresce scena dopo scena. Il film gioca molto sulla suggestione e sulla paranoia del protagonista, portandolo verso un finale beffardo e quasi inevitabile.

Un aspetto curioso per chi è abituato alla filmografia italiana di Tomas Milian è il fatto che qui reciti con la propria voce, senza il classico doppiaggio di Ferruccio Amendola. Questo crea una sensazione particolare per lo spettatore, rendendo il personaggio di Stefano Augenti ancora più distante dai ruoli successivi di Milian. Un dettaglio interessante emerge in una battuta in cui il protagonista dice "tocca legno" invece di "tocca ferro", un'espressione che probabilmente riflette le sue origini cubane e che suona inconsueta in italiano. Questo piccolo slittamento linguistico aggiunge ulteriore fascino alla performance, rendendo Stefano un personaggio ancora più fuori posto nel mondo in cui si muove.

La vittima designata è un thriller raffinato e affascinante, che merita di essere riscoperto. Pur ispirandosi chiaramente a Hitchcock, riesce a costruire una propria identità, grazie alla regia di Lucidi e alle ottime interpretazioni di Milian e Clémenti. Un film elegante e inquietante, che lascia lo spettatore con un senso di ineluttabilità tipico dei migliori noir.


Edizione: DVD
Edizione italiana abbastanza rara con traccia originale in stereo Dolby Digital ed i seguenti extra:
  • Trailer
  • locandina originale
  • Galleria fotografica
  • 2 schede con immagini e testuali
 

venerdì 21 marzo 2025

L'Infernale Quinlan (1958)


Regia: Orson Welles
Anno: 1958
Titolo originale: Touch Of Evil
Voto e recensione: 7/10
Pagina di IMDB (7.9)
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Film:

L’infernale Quinlan – Il crepuscolo del noir perfetto

"L’infernale Quinlan" (Touch of Evil, in lingua originale) è uno di quei film che non smettono mai di sorprendere, anche se si conosce già ogni inquadratura. È un noir denso, sporco e quasi febbricitante, che oscilla tra l’ipnosi visiva e l’oppressione morale, avvolgendo lo spettatore in un’atmosfera tanto viscerale quanto decadente.

Essendo un amante del genere ed in potenza (ne ho visti davvero pochi) di Orson Welles, non potevo che restare soddisfatto. Questo film è il punto d’incontro tra il noir classico e la sua dissoluzione: è ancora pieno di ombre nette, di uomini cinici e di donne pericolose, ma è anche un’opera che sembra tradire le regole stesse del noir, deformandole fino a renderle quasi irriconoscibili.

Un inizio travolgente

La celebre scena iniziale è già un capolavoro a sé stante: un piano sequenza magistrale che segue la traiettoria di un’autobomba, incrociando le vite dei protagonisti con una fluidità che oggi ancora lascia a bocca aperta. Il confine tra Messico e Stati Uniti non è solo una linea fisica, ma il simbolo di una frontiera morale che verrà continuamente oltrepassata. Qui tutto è ambiguo: la giustizia, il crimine, la verità.

L’ombra di Quinlan

Il personaggio di Hank Quinlan (interpretato da Welles stesso) è monumentale. Gigantesco nel fisico e nella presenza scenica, è la vera anima del film. Un poliziotto corrotto, ma non nel senso banale del termine: non è mosso dall’avidità, ma da una sua perversa concezione della giustizia. Per lui, il fine giustifica i mezzi, anche se significa fabbricare prove o eliminare ostacoli. È un uomo che ha perso tutto, che vive nel rimpianto e nell’autodistruzione, ma che si rifiuta di mollare la presa. In un certo senso, è il noir fatto persona: una figura decadente, inghiottita dall’ombra che lui stesso ha proiettato per tutta la vita.

Charlton Heston, nei panni di Vargas, il giovane ispettore messicano, è il suo opposto: idealista, corretto, ma sempre più smarrito in una rete di inganni e doppi giochi. E Janet Leigh, nei panni della moglie, è il perno attorno a cui ruotano tensioni razziali, soprusi e violenze psicologiche (e non solo).

Messa in scena e atmosfera

Visivamente, il film è un incubo a occhi aperti. Le inquadrature sghembe, i primi piani distorti, le ombre pesanti che sembrano inghiottire gli attori: Welles usa ogni trucco possibile per immergerci in un mondo instabile, torbido, quasi irreale. La città di confine è un purgatorio di anime perdute, dove la notte è interminabile e le strade sembrano sudicie anche quando non lo sono.

Le sequenze più memorabili sono cariche di una tensione quasi onirica: il motel in cui Janet Leigh viene intrappolata in un’atmosfera di minaccia silenziosa, il confronto finale tra Quinlan e il suo destino, la colonna sonora jazz che si mescola ai suoni ambientali, rendendo tutto più febbrile e disturbante.

Un noir oltre il noir

Welles non si limita a raccontare una storia criminale: Touch of Evil è il canto del cigno del noir classico, ma è anche la sua evoluzione. Il bianco e nero è ancora lì, ma sporco, deformato, quasi gotico. La morale è sempre più confusa, e i protagonisti non sono più eroi o antieroi, ma pedine in un gioco in cui tutti, in qualche modo, sono colpevoli o destinati a soccombere.

Quinlan non è solo un cattivo. È il simbolo di un mondo che sta scomparendo, di un’autorità che crolla sotto il peso della sua stessa corruzione. E il finale, con il suo misto di pietà e ineluttabilità, è uno dei più potenti del genere.

Conclusione

"L’infernale Quinlan" non è solo un noir straordinario, è un’opera d’arte che continua a rivelare dettagli e sfumature a ogni visione. È il lato più cupo del sogno americano, un affresco di potere e rovina, un’esperienza che lascia addosso il sapore amaro della polvere e del sudore. Se ami il noir e Welles, non puoi che rimanere affascinato da questa discesa negli abissi dell’animo umano.

Edizione: Special Edition doppio bluray

Edizione rilasciata dalla Sinister che  prevede una slipcover verticale in cartoncino purtroppo molto sottile. Abbiamo comunque due artwork, uno sulla custodia. Questa contiene oltre ai due dischi BD 50, anche un booklet a colori di ben 32 pagine ed un poster in formato A3 con la locandina originale. I dischi sono così suddivisi:

Disco 1 con traccia italiana in DTS HD MA stereo:
  •  Theatrical version da 95 minuti in doppio formato (4:3 e 16:9)
  • Preview version da 110 minuti in 16:9
  •  Trailer
Disco 2 con traccia italiana Dolby  Digital stereo:
  •  Reconstructed Director's Cuta da 110 minuti in doppio formato (4:3 e 16:9) e doppiaggio italiano originale e nuovo
  • Commento audio di Charlton Heston, Janet Leigh e Rick Schmidlin
  • Making of (38 minuti)
  • Galleria fotografica 
 

Starlink in viaggio: il regalo perfetto o un inutile peso?

 


Certe amicizie sono fatte di birre condivise, battute al limite del legale e viaggi improvvisati. Altre ti regalano Starlink.

Quando Gettons mi ha fatto recapitare il pacco, ho pensato a uno scherzo. Io, che parto con uno zaino leggero e cerco di staccarmi dalla rete il più possibile, ora mi trovavo tra le mani un’antenna satellitare. "Così puoi scrivere sul blog anche dalla cima del mondo," mi ha detto ridendo in videochiamata. E in effetti, la prospettiva di aggiornare VER dal nulla più assoluto aveva un certo fascino.

Connessione ovunque: mito o realtà?

La prima prova l’ho fatta quasi per gioco. Ho piazzato l’antenna nel punto più isolato che potessi raggiungere senza troppe difficoltà, e in pochi minuti ero online. Niente più dipendenza da Wi-Fi scadenti o hotspot ballerini: internet ovunque, sempre, con velocità degne di casa.

Sul momento, mi è sembrato geniale. Ma poi è arrivata la domanda: ne avevo davvero bisogno? Probabilmente sì, e meglio averlo che non averlo. 

Starlink: sogno o incubo per un viaggiatore?

PRO:
Copertura totale – Montagne, spiagge, boschi… finché hai visibilità sul cielo, sei connesso.
Velocità assurde – Perfetto per caricare foto, scrivere articoli e persino vedere un film in tenda.
Indipendenza assoluta – Niente più attese per una tacca di segnale.

CONTRO:
Ingombro – Non proprio tascabile. Zaino minimal? Dimenticalo. Potrei però farmi regalare anche uno sherpa. 
Consumo energetico – Senza un buon power bank o un generatore, sei fritto.
Tentazione costante – L’idea di rimanere offline diventa un’utopia. L'ho inserita tra le cose negative, solo per far numero. 

Verdetto finale: lo tengo o lo restituisco?

Dopo qualche viaggio mentale , ho capito che Starlink non è un giocattolo qualsiasi. Se vuoi lavorare in remoto mentre esplori, è il Santo Graal. Se invece vuoi perderti davvero, può essere un’ancora pesante. Alla fine, ho deciso di tenerlo, ma con una regola: accenderlo solo quando serve davvero.

Quindi grazie, Gettons. Forse è un lusso, forse è un peso, ma almeno ora posso scrivere sul blog da qualsiasi angolo di mondo. Anche se ogni tanto, offline, si sta ancora meglio.


giovedì 20 marzo 2025

Stanza per retrograming

 
Siccome sto leggendo Rabbits, che mi gasa da morire, e siccome mi sono anche un po' dedicato al retrograming, ho chiesto alla mitica VIKI di descrivere una stanza dedicata, come potrebbe essere. Siccome sono anche un furbo affarista, su alcuni prodotti inserisco il link per l'acquisto su Amazon, mi raccomando, non fate le lesine.

Immagina di entrare in una stanza dedicata interamente al retrogaming, un vero e proprio tempio della nostalgia per gli amanti degli anni '80 e '90.

Atmosfera e Decorazioni

Le pareti sono coperte da poster e locandine vintage di giochi iconici come Super Mario Bros., Street Fighter II, The Legend of Zelda e Sonic the Hedgehog. Neon colorati illuminano la stanza con scritte in pixel art e loghi di console storiche come NES, Sega Mega Drive e SNES.
Un angolo della stanza è rivestito con carta da parati a tema pixel-art, che ricorda i primi giochi arcade, mentre il soffitto ha delle strisce LED RGB per creare un’illuminazione dinamica.

Setup Gaming

Al centro della stanza troneggia un vecchio televisore a tubo catodico (CRT) da 21-29 pollici, perfetto per garantire l’input lag zero e la qualità visiva originale delle console retro. Accanto, un moderno schermo piatto per chi vuole una versione aggiornata dei giochi retrò con scaler video.

Sotto la TV, una parete attrezzata ospita una collezione di console d’epoca perfettamente funzionanti:

  • NES, SNES, Sega Mega Drive, PlayStation 1, Nintendo 64, Dreamcast e Atari 2600.
  • Un Commodore 64 e un Amiga 500 con floppy disk originali.
  • Un cabinato arcade con più di 1000 giochi, dotato di joystick e pulsanti in stile anni ‘80.

Tutti i controller sono ordinati su una parete espositiva, pronti all’uso.

Zona Multiplayer e Relax

Accanto all’angolo gaming, un divano anni ‘90 con tessuto a fantasia geometrica e un paio di bean bags colorati permettono di rilassarsi e godersi le sessioni di gioco in compagnia. Un mini frigo in stile anni ‘80 offre bibite gassate e dispenser snack nostalgici 

Un angolo è dedicato ai giochi da tavolo e riviste vintage, con numeri storici di Club Nintendo, The Games Machine e Zzap! da sfogliare tra una partita e l’altra.

Extra Immersivi

  • Un jukebox  - radio retrò che trasmette colonne sonore 8-bit e synthwave.
  • Una lavagnetta luminosa dove gli ospiti possono scrivere i loro record e lasciare messaggi nostalgici.
  • Action figure e gadget d’epoca, come i Tamagotchi appesi o le cartucce del Game Boy in esposizione.

Questa stanza non è solo un posto per giocare, ma un portale che riporta direttamente agli anni d’oro del videogioco, con un’atmosfera che sa di sale giochi, pomeriggi dopo la scuola e nottate passate a cercare di battere un boss difficile.


mercoledì 19 marzo 2025

Westworld - Dove Tutto E' Concesso [Stagione 1]


Anno: 2016
Titolo originale: Westworld
Numero episodi: 10
Stagione: 1
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 Sapevo dell’esistenza di Westworld, ma non mi ero mai avvicinato alla serie fino a poco tempo fa. Ora che ho visto la prima stagione, posso dire che ho fatto bene ad aspettare il momento giusto, ma sono anche un po' dispiaciuto per aver concesso tempo e fatica ad altre decisamente inconsistenti: mi ha completamente catturato, soprattutto da metà in poi, quando i temi esplodono e i continui salti temporali iniziano a incastrarsi in un puzzle avvincente.

L’idea di base è già intrigante di suo: un parco a tema western dove gli ospiti umani possono fare ciò che vogliono con gli androidi, chiamati “residenti” . Ma non ci troviamo di fronte a una semplice storia di robot ribelli. Qui si parla di coscienza, memoria, libero arbitrio e manipolazione. I residenti credono di avere scelte, ma sono solo marionette in un copione scritto da altri. E gli esseri umani? Sono poi così diversi?

Il racconto si dipana seguendo personaggi chiave, tutti ben costruiti e con archi narrativi che, pezzo dopo pezzo, svelano il grande disegno. Dolores è il volto dell’evoluzione: da ragazza ingenua del West a qualcosa di più profondo e inaspettato. Maeve, invece, è il personaggio che forse mi ha intrigato di più: la sua scalata alla consapevolezza, il modo in cui prende in mano il suo destino (o almeno crede di farlo) è pura adrenalina. William e l’Uomo in Nero aggiungono un livello di mistero e ambiguità che ho apprezzato sempre di più con il passare degli episodi, mentre il Dr. Ford, con il suo sguardo onnisciente, guida il tutto come un burattinaio silenzioso. In molti sono creta nelle sue mani ed in molti sono le sue palline rimbalzine.

Ciò che mi ha davvero gasato, però, è stata la struttura narrativa. I continui flashback, che inizialmente sembrano semplici frammenti di ricordi o addirittura trame sulla stessa linea temporale, si rivelano invece fondamentali per svelare l’inganno che permea l’intera storia. Ogni pezzo si incastra al posto giusto, e più si va avanti, più tutto assume senso. Quando ho iniziato a intuire dove volesse andare a parare, il coinvolgimento è schizzato alle stelle.

Rispetto al film del 1973, che puntava di più sulla tensione action con la minaccia rappresentata dagli androidi (come il mitico Yul Brynner nei panni del Gunslinger), la serie ribalta la prospettiva: qui sono gli umani a essere spietati, mentre gli host diventano vittime e, forse, futuri carnefici. Ma è davvero una semplice lotta tra creatori e creature? O c’è qualcosa di più profondo che riguarda tutti noi?

La prima stagione di Westworld è un’esperienza che va oltre il classico sci-fi: è un viaggio mentale che mette in discussione il concetto stesso di esistenza. Se i nostri ricordi fossero solo un’illusione? Se le nostre scelte fossero già scritte? E soprattutto: quanto di quello che crediamo essere libero arbitrio è davvero tale? Domande che rendono questa serie qualcosa di più di un semplice intrattenimento.

Per me, è un grande sì.

L'ultima bottega di Vinca

 
Scrollando lo smartphone in su e giù sono incappato su di una notizia che ha catturato la mia attenzione. Durante le mie escursioni in Apuane , mi capita spesso di passare da Vinca, un piccolo borgo immerso tra le montagne in Alta Lunigiana. Chiunque conosca questo luogo sa che c’è un punto di riferimento imprescindibile: la bottega di Andreina, l’unico negozio del paese, un vero baluardo di resistenza contro lo spopolamento.

Ne parla anche Il Tirreno in un recente articolo, raccontando la storia di questa piccola attività che, da oltre quarant’anni, non ha mai chiuso. Andreina, con la sua determinazione e il suo spirito di servizio, continua a tenere aperto il negozio senza giorni di riposo, garantendo a residenti e viandanti un punto di ristoro e socialità. Non si tratta solo di vendere generi alimentari, ma di mantenere viva un’intera comunità.

Nel mondo attuale, fatto di chiusure e di negozi che scompaiono dai borghi montani, questa storia è un raro esempio di resilienza. Vinca, con il suo paesaggio selvaggio e la sua storia antica, ha in Andreina una custode preziosa, che con il suo lavoro quotidiano impedisce che il paese si spenga del tutto.

La prossima volta che passerò da quelle parti, sarà un piacere fermarmi di nuovo per scambiare due parole e prendere qualcosa nella sua bottega, un piccolo ma fondamentale cuore pulsante di Vinca, e consiglio a tutti di farlo. 

lunedì 17 marzo 2025

Jack Vance - Le Insidie Del Pianeta Tschai

 
Autore: Jack Vance
Anno: 1969
Titolo originale: Servants Of The Wankh
Voto e recensione: 3/5
Pagine: 146
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Trama del libro e quarta di copertina:

Adam Reith ha un solo obiettivo: lasciare il pianeta Tschai e le sue razze bellicose. Ma riparare l'astronave naufragata su quel mondo di mostri non è un'impresa facile, e così ancora una volta il terrestre è costretto a seguire le pericolose rotte dell'avventura. Dopo i Chasch Blu, è ora la volta dei Wankh e dgli altri feroci signori di quel mondo primordiale. Ma se la tecnologia di Tschai è arretrata, non lo è certo la sete di sangue... come Adam Reith imparerà a sue spese.

Commento personale e recensione:


Dopo Naufragio su Tschai , ho proseguito l’esplorazione del mondo di Tschai con il secondo volume della quadrilogia di Jack Vance, Le insidie di Tschai. Ancora una volta, la forza del romanzo sta nelle straordinarie descrizioni delle popolazioni indigene e aliene che abitano questo pianeta esotico e pericoloso. Vance dimostra una maestria unica nel costruire società complesse e diversificate, ognuna con le proprie usanze, regole e assurdità, che a un occhio esterno possono sembrare tanto affascinanti quanto incomprensibili.

La narrazione segue ancora Adam Reith, il terrestre precipitato su Tschai che cerca disperatamente un modo per tornare a casa. In questo secondo capitolo del suo viaggio, il protagonista si confronta con culture sempre più bizzarre e spietate, ognuna con una logica interna che sfida i valori e le convinzioni del lettore. È impossibile non fare un paragone con le innumerevoli civiltà che hanno popolato e popolano la Terra: tradizioni, credenze e strutture sociali che, viste dall’esterno, possono sembrare assurde o contrarie a ogni etica conosciuta, ma che per chi le vive sono perfettamente normali.

Proprio questo è uno degli aspetti più affascinanti della lettura: la capacità di Vance di spingere il lettore a riflettere su quanto la relatività culturale sia un concetto inevitabile. Su Tschai, ciò che per noi è mostruoso può essere considerato normale, mentre ciò che riteniamo scontato può essere visto come un’assurdità. In questo viaggio tra società marcatamente aliene, ci si rende conto di quanto anche la nostra Terra sia un universo di diversità spesso inconciliabili ai nostri occhi. 

Rispetto al primo volume, Le insidie di Tschai prosegue con lo stesso ritmo serrato e l’alternanza di avventura, pericolo e scoperta. Reith continua a destreggiarsi tra alleanze instabili e incontri con creature e individui che potrebbero tradirlo in qualsiasi momento. La tensione è costante, ma ciò che rende il tutto ancora più coinvolgente è proprio il senso di meraviglia che accompagna ogni nuova tappa del viaggio.

Chi ha apprezzato il primo romanzo troverà in questo secondo capitolo un’evoluzione naturale, con nuove sfide e nuovi scorci su un mondo incredibilmente ricco. E chi ama la fantascienza d’avventura con un tocco antropologico non può che restare affascinato dall’universo di Tschai, sebbene proseguendo si trova un po' meno "scienza" e maggiore "fanta".