
Ci sono serie che seguono i canoni del genere e altre che li reinterpretano con un tocco originale, senza tradire lo spirito di base. Paradise appartiene a questa seconda categoria, riuscendo a costruire un mondo affascinante e credibile, capace di immergere lo spettatore in un futuro tanto apparentemente distante quanto inquietantemente familiare.
L'elemento che più mi ha colpito è il modo in cui la narrazione bilancia l'aspetto visivo con una scrittura solida e ben calibrata. Non si tratta solo di un impianto estetico curato – quello ormai lo si dà quasi per scontato – ma di un'attenzione particolare al ritmo e ai dettagli che rendono la storia avvincente senza mai perdere mordente. Il mistero cresce episodio dopo episodio, alimentando una tensione che non cala mai e che esplode nei momenti giusti, senza ricorrere a soluzioni facili o banali.
Un ruolo chiave in questo equilibrio è senza dubbio quello dell'antagonista, interpretata magistralmente da Julianne Nicholson. Il suo personaggio è l'incarnazione perfetta di un villain che si ama odiare: spietata, calcolatrice, con una presenza scenica che domina ogni scena in cui appare. Il suo modo di agire è tanto razionale quanto disturbante, e il modo in cui la serie la costruisce la rende uno dei punti di forza della storia.
Se c’è una nota dolente – ma ormai è il prezzo da pagare con le serie moderne – è che la prima stagione non è conclusiva. Il finale lascia troppe porte aperte e si percepisce chiaramente la volontà di proseguire con una seconda stagione, cosa che può risultare frustrante per chi sperava in una chiusura più netta. D’altra parte, Paradise ha talmente tanto da raccontare che forse sarebbe stato impossibile condensare tutto in una sola stagione senza sacrificare qualcosa, ma il trucchetto è semplice: fare solo otto episodi e chiamarli "prima stagione" invece che farne una da una ventina.
In definitiva, una delle migliori sorprese dell'anno nel panorama della fantascienza televisiva.
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