Ascoltavo anch’io i gruppi che giravano nei soliti giri di provincia: CD acquistati con fatica, risparmiati uno a uno, pescando titoli tra i pochi disponibili nei negozi di dischi locali. C’erano i Metallica, ovviamente, e poi gli Iron Maiden, i Megadeth, qualche deviazione verso il prog o il doom, ma sempre restando dentro una mappa sonora relativamente sicura.
War Tears, invece, arrivò di lato. Me lo passò mio cugino (e ora quel CD si trova a fatica sempre se ci si riesce) , che prendeva lezioni di batteria. “Ascolta questo, sono di qui.” E quel “di qui” era Piombino, la costa tirrenica che non ti aspetteresti patria di un certo tipo di metal epico e oscuro.
Così scoprii i Dark Quarterer. Band piombinese attiva dalla metà degli anni Ottanta, mai davvero esplosa in Italia — forse troppo raffinati per il pubblico rockettaro medio, troppo “seri” per chi cercava solo l’aggressività del metal più immediato. Eppure, all’estero — soprattutto in Germania — erano (e sono) venerati come pionieri. Non solo per la qualità tecnica, ma per l’impronta personale, colta, tragica, che li distingue da qualsiasi altra band italiana del genere.
War Tears è un concept (?) album del 1993 che non fa sconti. È una discesa nella follia della guerra, ma senza eroismi: solo lacrime, dolore, memoria. La voce di Gianni Nepi è teatrale ma mai caricaturale. È come se recitasse dal fondo di una trincea, raccontando non una storia epica, ma una sconfitta collettiva. “War Tears”, il brano che apre l’album, è già manifesto. Ti prende alla gola. La struttura è imprevedibile, i cambi di tempo non sono virtuosismi, ma strumenti narrativi. Il basso non accompagna: parla. E la batteria, quella del Ninci, costruisce e demolisce, con precisione chirurgica.
Brani come “Out of Line”, “Nightmare” o “Last Paradise ” creano un mondo interiore più che un concept lineare. L’album è un campo minato di emozioni. È metal, certo, ma anche teatro, poesia sporca, requiem. Nessun pezzo è lì per “fare numero”. È tutto necessario.
La mia traccia preferita resta Lady Scolopendra: disturbante, cupa, eppure affascinante. È una creatura che striscia fuori dalle casse e ti fissa negli occhi. Inquietante e magnetica, come se fosse uscita da un sogno malato o da una pagina cancellata di un diario bellico.
War Tears è un’esperienza che ti resta sotto pelle. Una che ti arriva magari per caso, da una stanza accanto, tramite un cugino, o da un vecchio CD che ora custodisci con cura . E che poi non se ne va più.
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