
WESTWORLD 3 – CYBERCAVALLI SENZA COWBOY
Alla fine della terza stagione di Westworld mi ritrovo a fissare lo schermo come un host appena "svegliato": confuso, sradicato, e con l’amara consapevolezza che qualcosa è andato storto. Dov’è finito il labirinto? Dove sono finiti i paesaggi bruciati dal sole, le vendette in slow-motion, il fango misto a inganni? Risposta breve: nella stanza dei ricordi. Ora siamo nel futuro, ma non quello che ci meritiamo. Uno che pare uscito da un crossover tra Black Mirror ed un Fast & Furious qualsiasi in versione androidi.
La serie prende una virata drastica, cambiando pelle e anima. Lo sapevo già ed ero stato avvisato anche nei forum che seguo, ma ci ho provato. Il parco scompare, i cowboy diventano hackers, e l’epopea western-filosofica si trasforma in un techno-thriller urbano dal retrogusto cyberpunk. Il tutto condito da un’estetica pulita, luci fredde, skyline avveniristici e... proiettili che non colpiscono mai nessuno (se sei uno dei “protagonisti”, ovviamente). In pratica: il Far West cede il passo al Far Logic.
Capisco la volontà degli autori di non rimanere intrappolati nella ripetizione. È lecito, anche lodevole, cercare di far evolvere una storia. Ma qui l'evoluzione suona più come mutazione forzata. I nuovi temi – controllo algoritmico, libero arbitrio contro predestinazione digitale – sono affascinanti, ma innestati su una trama che sembra tenuta insieme con graffette e nostalgia.
Il problema maggiore, però, sono i personaggi: Dolores, Bernard e Maeve appaiono fuori contesto, come attori costretti a recitare su un palcoscenico che non è il loro. La loro profondità si appiattisce tra sparatorie da videogame e monologhi programmatici. Sembra quasi che li abbiano riportati in scena solo per dovere contrattuale. E sì, anche la nuova “entità antagonista” non convince: una IA che prevede tutto, tranne i buchi di sceneggiatura.
Il risultato è una stagione che perde l'identità e sbiadisce nel tentativo di piacere a tutti. Personalmente, avrei preferito un finale coraggioso alla fine della seconda stagione: lasciare il mistero nell’ambiguità, piuttosto che trascinarlo fuori dal parco per gettarlo in un mondo che sembra un altro show.
Detto questo, guarderò la quarta stagione. Perché Westworld ha ancora qualcosa da dire, e perché a volte la speranza è più forte del disincanto. Ma dentro di me, continuo a pensare che questa storia sarebbe dovuta finire quando Dolores cavalcava sotto il cielo finto del parco, libera e spietata come solo un personaggio ben scritto sa essere.
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